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Bufala del "Silenzio Digitale per Gaza"

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Eccoci qui. È la terza volta da maggio che mi arriva questo benedetto messaggio WhatsApp sul “silenzio digitale per Gaza” nella chat di famiglia. La terza. Maggio, luglio, e ora di nuovo. Ogni volta devo sprecare mezz’ora a spiegare perché è una bufala colossale, e ogni volta mi sento rispondere “eh ma alla fine qualcosa fai, anche se poco, meglio di niente”.

No. Non fai poco, fai NIENTE. Statisticamente irrilevante. Come se gli algoritmi dovessero andare in crash ogni volta che 1,4 miliardi di indiani vanno a dormire la sera.

Il messaggio dice di spegnere tutti i telefoni dalle 21:00 alle 21:30 per “disturbare gli algoritmi” e costringerli a dare visibilità ai contenuti su Gaza. Promette di creare un “forte segnale digitale” che manderà “in tilt” i sistemi dei social network.

È una cazzata.

Perché è tecnicamente impossibile (spiegazione per umani)

Gli algoritmi di Facebook, Instagram, TikTok e Twitter elaborano miliardi di interazioni ogni giorno. MILIARDI. Sono progettati per gestire fluttuazioni enormi nell’attività degli utenti.

Tipo: ogni sera, quando l’India va a dormire, 1,4 miliardi di persone smettono di interagire sui social. Gli algoritmi se ne accorgono? No. Continuano a funzionare normalmente.

Trenta minuti di silenzio da parte di qualche migliaio di italiani? È come sputare in un oceano sperando di alzarne il livello. Letteralmente invisibile nelle statistiche globali.

Ma soprattutto - e qui casca l’asino - gli algoritmi non ottimizzano per la “presenza” degli utenti. Ottimizzano per l’engagement: like, commenti, condivisioni, tempo di visualizzazione. Se non interagisci, il sistema continua a funzionare con chi invece sta interagendo. Che sono miliardi di persone sparse su tutti i fusi orari del pianeta.

È come se io spegnessi la radio in cucina sperando che la Rai andasse fuori onda. Non funziona così.

Chi c’è dietro questa bufala

PeaceLink.it lo ha già smontato il 13 maggio 2025. Alessandro Marescotti l’ha definita una “bufala” senza mezzi termini. Il Fatto Quotidiano ha fatto lo stesso il 21 giugno, catalogandola come “bufala ricorrente” che torna periodicamente con date aggiornate.

Il messaggio si attribuisce falsamente al movimento “March to Gaza” (MTG). Ho controllato: March to Gaza è un’organizzazione legittima, ma non ho trovato evidenze di loro coinvolgimento in campagne di blackout digitale. È la classica tecnica del furbacchione: prendi il nome di un’organizzazione vera per dare credibilità alla tua panzana.

La struttura del messaggio segue tutti i pattern classici della disinformazione: linguaggio urgente, gergo pseudo-tecnico per sembrare credibile, manipolazione emotiva, e quella chiusura con “regola l’orologio e SPEGNI IL TELEFONO!” tipica dei messaggi a catena.

Come funziona davvero l’attivismo digitale serio

Se volete vedere come si fa sul serio, date un’occhiata a organizzazioni come 7amleh - Arab Center for Social Media Advancement. Questi coordinano davvero azioni digitali efficaci per i diritti palestinesi. Ma lo fanno con:

  • Campagne hashtag strategiche coordinate
  • Creazione di contenuti sostenuta nel tempo
  • Pressione documentata sulla censura delle piattaforme
  • Supporto al giornalismo cittadino da Gaza
  • Raccolta fondi per aiuti umanitari verificati

Notate la differenza? Roba concreta. Non pensiero magico su algoritmi che vanno in tilt.

Il danno che fa questa bufala

Ecco perché mi incazzo (civilmente) ogni volta: questa roba danneggia la vera solidarietà con Gaza. Come?

  1. Spreca energie: Invece di donare ad organizzazioni verificate o fare pressione sui governi, la gente si sente apposto dopo 30 minuti di “silenzio digitale”

  2. Falsa speranza: Promette soluzioni facili a problemi complessi. “Basta spegnere il telefono e risolviamo tutto!”

  3. Delegittima l’attivismo: Quando la bufala viene smascherata, la gente perde fiducia anche nelle iniziative autentiche

La situazione a Gaza è devastante (e ne ho già parlato qui): 1,9 milioni di sfollati su 2,1 milioni di abitanti, 186 giornalisti uccisi secondo il Committee to Protect Journalists, infrastrutture di comunicazione sistematicamente distrutte. Merita azioni vere, non rituali digitali che servono solo a far sentire meglio chi li fa.

Perché ci cascate (psicologia spicciola)

Il messaggio è progettato per sfruttare vulnerabilità psicologiche specifiche:

  • Urgenza emotiva: Di fronte a una tragedia umanitaria, vogliamo fare qualcosa, qualsiasi cosa
  • Falso empowerment: Promette che una semplice azione individuale possa avere impatto collettivo
  • Gergo pseudo-tecnico: “impatto algoritmico”, “anomalia comportamentale” - suona scientifico
  • Rete familiare fidata: Nei gruppi famiglia abbassiamo la guardia critica

È studiato apposta per aggirare il vostro fact-checking mentale. E ci riesce.

Cosa fare davvero (azioni concrete)

Se volete davvero aiutare Gaza e non farvi solo un massaggio alla coscienza:

  • Donazioni verificate:
    • UNRWA (Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi)
    • Medici Senza Frontiere - progetti Gaza
    • Palestinian Red Crescent Society
  • Pressione politica:
    • Contattate i vostri rappresentanti parlamentari
    • Supportate organizzazioni come Amnesty International
    • Partecipate a manifestazioni legali organizzate
  • Informazione di qualità:
    • Seguite giornalisti palestinesi verificati
    • Condividete reportage di testate credibili
    • Documentatevi presso fonti autorevoli (B’Tselem, Human Rights Watch)
  • Pressione sui social:
    • Denunciate la censura documentata dei contenuti palestinesi
    • Supportate le richieste di trasparenza negli algoritmi
    • Amplificate le voci palestinesi autentiche

Roba seria. Non magia digitale.

Linkografia verificata

Conclusione: la solidarietà non è un giochetto

Capiamoci: sono il primo a voler vedere più contenuti su Gaza nei social. Sono il primo ad essere disgustato dalla censura sistematica che subiscono le voci palestinesi. Ma la soluzione non è il pensiero magico.

La solidarietà vera richiede impegno continuativo, non rituali simbolici che durano mezz’ora. Richiede donazioni, pressione politica, informazione di qualità, azioni concrete che abbiano impatto misurabile.

Spegnere il telefono per 30 minuti non “disturba” nessun algoritmo. Disturba solo me, che devo continuare a spiegare perché non funziona.

La prossima volta che vi arriva questo messaggio, invece di inoltrarlo, considerate di donare quei 30 minuti a qualcosa di utile. O almeno, per pietà, non giratelo a me.


Scritto da un programmatore stanco di dover spiegare l’ABC degli algoritmi ai parenti che credono alle catene di Sant’Antonio digitali. Se anche voi ricevete ‘sta roba, linkate pure questo articolo. Almeno servirà a qualcosa.